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  YURI OLEGOVIC.

Il colore è corpo di une memoria utile. Queste opere di Yuri Olegovic guardano indietro ma muovono – dritto allo scopo - avanti.

Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing ? (Che cosa esattamente rende le case di oggi così diverse, così attraenti?) realizzata da Richard Hamilton nel 1956 è opera miliare: misura di quanto pop possa entrare in un’opera d’arte. Il collage ironico di Hamilton venne esposto, sempre in quell’anno, in una mostra nella londinese Whitechapel Gallery dal titolo This Is Tomorrow.

58 anni dopo, la forma del benessere non è cambiata molto. Il paesaggio mentale attraente ha rinnovato i brand di riferimento, ma la sostanza resta indiscussa: la proprietà di alcuni beni renderà la nostra vita degna di essere vissuta. Il possesso del mezzo traducibile in beni – il denaro - ci permette di vivere con la possibilità di rinnovare in ogni momento tali beni. L’accumulazione del denaro ci metterà al riparo dall’eventualità di poter desiderare ciò che non potremmo possedere.

“La parsimonia, e non l’operosità, è la causa immediata dell’accumulazione del capitale (…) qualunque cosa l’operosità possa procurarsi, se la parsimonia non la risparmiasse e non la accantonasse, il capitale non crescerebbe mai”. Sono le parole del padre della scienza economica Adam Smith nella Ricchezza delle nazioni. Il risparmio del denaro è fonte di qualunque benessere possibile per gli individui come per lo stato.

Perché perdere tempo l’operosità – viene da domandarsi – quando bisogna badare alla parsimonia? Con parole di oggi ci si potrebbe chiedere: perché perdere tempo con l’economia reale, quando con l’economia finanziaria si fa molto più in fretta?

Yuri Olegovic non introduce il denaro in opera d’arte: la moneta è l’opera.  Anzi: la memoria delle monete fuori corso – colorate e ingigantite con la stessa rutilante vivacità di un tabellone pubblicitario – costituisce la premessa del racconto. La nostalgia (etimologicamente dolore del ritorno) dei tempi passati, nei quali il denaro nostrano corrente si chiamava Lira è la leva che disseppellisce una montagna di emozioni.

Noi. Noi italiani. Noi così lontani dai tempi del boom economico. Noi uniti a una Europa che ha una sola moneta ma parla ventiquattro lingue. Noi che non sappiamo restare se non in uno stadio di calcio… Noi che ereditiamo una parte enorme del patrimonio artistico mondiale ma non riusciamo a valorizzarlo. Noi che produciamo mostre, fiere e festival d’arte in continuazione ma siamo succubi di un mercato che punta a Londra, a New York, alla Cina…

Le coloratissime monete /sculture di Olegovic – smalti su metallo- sembrano contenere tutta la storia identitaria italiana di questi decenni. Ma non si fermano al dolore. Ciò che si mostra in queste opere è la possibilità – che l’arte conserva sempre- di rovesciare il paesaggio. Quello che possiamo vedere non è tutto ciò che la nostra immaginazione contiene. La più pop delle icone, il “Dio Denaro”, entra in campo come un Marilyn di Warhol. Vestita a nuovo. E, se Warhol sosteneva – sbagliando, non c’è dubbio – che Fare denaro è un’arte. Lavorare è un’arte. Un buon affare è il massimo di tutte le arti, Olegovic, ironicamente decreta con i suoi soldi – raffigurandola – la sconfitta di quella divinità. I soldi ricolorati, privati due volte del valore di scambio – come una vecchia prostituta che prova a sembrar giovane con cerone e rossetto? – tentano di darsi al mondo come mero valore estetico.

L’andamento crematistico dell’economia – l’accento sulla moltiplicazione delle ricchezze prescindendo dalla loro distribuzione e dal consumo come in Borsa – esce sconfitto (almeno idealmente) da una crisi che sembra divorare il futuro a piccoli bocconi. E la progressiva affermazione – molto contemporanea- delle più svariate forme di sharing economy pare l’inizio di una forma di civiltà nuova.

Già Aristotele, nella Politica, propendeva per una economia che procacci solo i beni necessari per vivere bene. Contrariamente ad alcuni suoi contemporanei e a Solone – che sosteneva l’illimitatezza della ricchezza- sottolineava come il denaro non possa essere principio e fine. E condannava l’usura, in cui il guadagno avviene dallo scambio del denaro in sé. I soldi di Olegovic, arricchiti di colore, rigenerati a nuova vita, sembrano ricordarci proprio questo: la bellezza del valore “non in sé”. Il controvalore è l’arte. E l’arte, in realtà - magnifico paradosso- non ha prezzo.

La memoria della Lira veste il colore dell’arte e torna - dai magazzini di qualche rigattiere o dalle tasche di una giacca che non indossiamo da molto tempo - a raccontarci un sacco di storie. E a svelarci un mondo di bugie.

Francesco Tadini


           


MOSTRE YURI OLEGOVIC

-           “Fior di conio” Milano, 2021

-           Yuri Olegovic rid”, mostra storica d’arte, 2017

-           “Lu5tro”, Milano Costantini Art Gallery, dal 20 aprile al 20 maggio 2017

-           “Centesimi, c’era una volta la piccola economia”, Milano, Casa Museo Spazio Tadini, 2017

-           “Yuri Olegovic, La lira pesante” Palermo, XXS aperto al contemporaneo, dal 18 agosto al 3 settembre 2016

-            “Yuri Olegovic, La lira pesante” Milano, Costantini Art Gallery, dall’11 settembre al 11 ottobre 2014

-           “Mostra da 5 lire”, Milano, Casa Museo Spazio Tadini, dal 7 al 13 dicembre 2013



         


        

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