Descrizione: SCULTURA IN M.D.F. GABRIELE ERCOLI ' FRATTONATURALE ' dimensioni L 69 x H 69 cm.
Scultura in M.D.F. - Titolo " FrattoNaturale " by Gabriele Ercoli .
Anno 2021 - Dimensioni L 69 x H 69 cm.
Opera Unica - Certificato di autenticità.
La scultura è l'arte di dare forma ad un oggetto partendo da un materiale grezzo o assemblando tra loro differenti materiali.
Con il termine scultura si indica anche il prodotto finale, ovvero qualsiasi oggetto tridimensionale ottenuto come espressione di ispirazione artistica.
I materiali tradizionalmente usati nella scultura sono: pietra, argille, metalli, avorio, legno, cartapesta.
Gabrieli Ercoli
Gabriele Ercoli nasce nella campagna fermana, quando,
alzando le ciglia sopra i solchi tracciati dalla madre, la città immota
appariva una piramide solenne e lontana. Nelle dita in terra la saliva. Terra
alla bocca percepita prima, sapore dentro e fuori quella mobile culla. Così
scalzo nel letto del fiume Ete Vivo, attraversato nel Vivaio in mano ad
Assunta, pur di vedere nella casa dei nonni i carri di legno coloratissimi
fatti da Alessandro. I suoi primi giocattoli mobili in legno fissati coi
chiodi. Tanto è il destino dell’arte, nell’Istituto di Fermo. Sei anni tra
ceramiche e metalli. Poi l’Arno, l’alluvione, un’altra città di terra e fango. Scavi
e riscoperte, esperienze, i primi scalpelli nel marmo, il taglio “piallato”
delle sgorbie per fibra nel legno, gli studi. E il titolo di maestro d’arte,
con lode, nel ’68. Da una campagna all’altra, sette anni di nebbia a
Caravaggio. Ritorno alle origini, dentro la magia dei Sibillini, riscoperta della
sua terra, l’Arcadia, mentre quella del nonno svaniva. L’albero d’oro fatto di
due, un acero colmo di grappoli. Le viti arrampicate alla casa del nonno
reduce. Il nero del letame, caldo, maturo e fumante. La sorgente d’acqua gelida
dentro il pozzo. Dove si può vedere il cielo. La grande mucca bianca giorno e
notte sulla terra come nella stalla. La Grecia della memoria.
Nell’84 l’adesione spontanea al gruppo “Il Basilisco”;
tra impasti, luce e colori dal fuoco. Esposizione delle terrecotte nell’86 alla
galleria L’idioma di A. Piceno con il titolo “Rubare alla terra”. Nello stesso
anno la partecipazione al Concorso Internazionale della Ceramica di Faenza.
Dall’88, uscito dal gruppo, dimora tra le mura della città antica dove, grazie
all’artigiano Pericle, riesce ad occupare la Chiesa della Congregazione degli
Artisti e dei Mercanti sconsacrata da anni: una grande cripta della Chiesa di
San Martino dove vivrà per sei anni la doppia magia dello studio. Il luogo era
carico di energia.
Di notte il tempo batteva dilatato al soffio di un grande allocco, che sopra il
trono di una gigantesca abside nidificava. Dentro la chiesa-studio si
avvertivano presenze e tensione, come nella soffitta della casa d’origine.
Sembrava di non essere mai soli. Psiche prendeva il suo destino ripensando a
quando la madre lo accompagnava in quello stesso luogo per l’Ascensione al
Mattutino. L’iniziazione. Le prime tele, nel dialogo tra aspirazioni, miti,
Gabriele, artisti, mondo ombra e memoria. Da una terra ad “un’altra”, anche
sua: La scoperta. I primi “Saggi” affondati in quelle fibre di legno industriale
(medium density) scartate dalle falegnamerie Brestoli e Gentili. Tavole
compresse, separate, fratte e in tensione aperte, sfibrate a livello
molecolare, con cui l’artista si sente in subito empatia, considerandole subito
Antimateria.
Dello stesso tempo l’Illuminazione davanti ai lavori di Osvaldo Licini a Monte
Vidon Corrado. I mattoni di fornace del paese apparivano d’oro. La luce
bizantina della fibra, scagliata, che intanto si veniva sperimentando, i
“segni” come crine si rivelavano impastati con quelli di Licini, grumi bianchi
sfrangiati nel cielo dei “Missili Lunari”. Le epifanie de suoi strumenti di
lavoro, dei suoi indumenti, dei bastoni, di scritti poetici, dei luoghi, sono
state come divinatorie; tanto da far restare l’artista fisso sulle opere
beatamente seduto a terra, “Senza Tempo”. Un fenomeno immanente. Come è
successo a Rothko fissando più volte l’opera Atelier Rouge; di Matisse. In
seguito anche i numeri, (88×88+8; è il titolo di un’opera), segnano
simbolicamente questo tempo dell’arte.
Le avanguardie storiche, la fiducia al fare del periodo della transavanguardia,
la creatività l’imprevedibilità del nuovo materiale spingono a scoprire
l’interazione dei pigmenti ritratti dall’assorbenza del medium. Altri artisti,
in senso orfico, concorrono alla formazione: Leonardo, Michelangelo, Giorgione,
Bacon, Goya, Munch, Van Gogh, Matisse, Rothko, Burri e in modo più diretto i
maestri espressionisti dell’arte lignea umbro-marchigiana. Il paesaggio è ormai
dentro scavato, magnetico, magmatico e lunare. Durante la guerra del Golfo,
Ercoli 88; la prima personale: la terra d’origine diventa quella di tutti.
Opera, Una parete di luna e una finestra di buio, i solchi dolci dei campi del
nonno opposti alle trincee seppellite dalle ruspe in Iraq. L’opera “Astro”,
magnetica e circolare. “L’angelo Anarchico”, nero, con le ali spezzate. Città
vibranti, metalliche, fuse, distrutte, di cui “Ci Sembrava Impossibile”.
Nel ‘;93 espone 123 Luoghi;. La prima volta delle grandi tavole nude e“amorfe”,
spaccate e opposte alle vive fibre interne tratte in superficie. Tra queste
“Chino”, che insieme al “Passaggio Archetipo”; e “88×88+8”; gli sono valse il
premio internazionale MIART e l’esposizione alla galleria Philippe Daverio (Mi)
con i cinque Testi “Haggadah”. Gian Ruggero Manzoni, curatore del catalogo per
la mostra “123 Luoghi” scrive di “tavolette rinvenute sotto stratificazioni geolinguistice”.
Nel ‘95, prima di rifugiarsi nell’interrato di Palazzo
Azzolino, allo Spazio Zero; della chiesa studio da sgombrare, espone su
cavalletto “Passaggio Archetipo”, cobalto squarciato dal quale una
scaglia-astro, più azzurra, si stacca dalla profondità del cielo. Da questo
luogo porta con sé una tabella in legno scritta, sulle due facce, a doppio
gancio, sopra e sotto la cornice. In modo tale da potersi capovolgere e girare.
Ed avvertire degli uffizi per i defunti , oltre che ai morti, movendolo, ha
fatto sempre pensare alla sorte di un quadro di Malevic che i rivoluzionari
avevano appeso al contrario e ai disegni doubleface di Licini. Il fuoco brucia
dentro la biblioteca grande di Sarajevo. Dagli altopiani del Fermano, le strade
bianche ortogonali al mare bruciano come proiettili accesi, sullo stesso cielo.
Nello stesso interrato-bunker, nascosto nel silenzio del nuovo studio poca aria
e senza luce, come uno scriba, continua a scavare e battere le tavole fino ad
oltrepassarle come implosioni telluriche: è la serie dei FrattiNeri o naturali,
che mettono in luce la realtà nuda compressa dentro la nuda tavola. Il critico
Roberta Ridolfi, davanti a queste opere, cita Michelangelo parlando di
scarnificazione dell’anima e di assorbimento della storia. Il poeta Lucilio
Santoni citando Jean-Luc Nancy scrive per Ercoli: “C’è una voce nella comunità
che si articola dall’interruzione e nell’interruzione.” Nello stesso periodo a
SpoletoScienza sul tema della Cura ascolta l’antropologo Remo Guidieri autore
del “Il Cammino dei Morti” , mentre cita l’opera di Tiziano “La Condanna di
Marzia” scorticato vivo.
Si ritrovano per caso a Moresco. S’intendono e passano più volte insieme
l’altopiano di Colfiorito, bevono acqua al valico del cielo e sostano a volte
attesi dall’amico Angelo l’indiano, prima di “gettarsi” in auto nella
francescana val Topina. Nel 96 , in occasione della festa di Rifondazione Comunista
allestisce nella pineta di Porto S. Giorgio quattro lavori cardinali di cui
“Chicchirichì” orientato ad est come allarme per alzarsi a denunciare il
massacro umanitario perpetuato sull’Adriatico. Nel’97, invitato dal Comitato
scientifico del Centro Studi Osvaldo Licini, espone a Monte Vidon
Corrado “Adriatico”, in senso speculare. Sul fondo del mare nè pesce né Lisippo
ma bombe. Una ricerca avanzata che affonda nel medium e nella storia. Fermo è
di fronte al mondo e la realtà una grande pala d’altare orrenda che ci
precipita addosso spaventosamente. In tale occasione, Remo Guidieri, nello
scritto G:E:1, evidenzia affinità simbiotiche e simboliche tra l’artista e il
suo medium, l’attaccamento alla sua terra e il suo sguardo rivolto verso il
cielo.
“Cielo di Cerreto”, dono per l’amico Giuseppe,
direttamente ritagliato nell’azzurro. L’opera Olmo, omaggio ad Osvaldo Licini,
piantata sulla terrazza davanti alla sua casa, preludio al tema del Bosco.
La Torre, nel catalogo Ercoli 999, un’idea per Moresco rimasta
nell’immaginario.
Numeri e Tempo continuano a preservare l’arte, archetipi di un nuovo flusso per
la Galleria 999; che ne riprende il nome. Quello di via degli Aceti (nello
studio sempre seminterrato) rimanda ad un doppio viaggio rappresentato in due opere
dell’88-;89: una tela dipinta ad olio con una Dea picassiana, Iside? che entra
negli Inferi zuppi d’acqua (Cisterne Romane), mentre al suo passaggio crolla un
portale ogivale di via Leopardi, tra pesci rossi e un uccello annunciatore; Una
tavola scavata e dipinta che rappresenta una grata divelta su via degli Aceti ,
pensando a Paul Klee: titolo: “Trasfigurazione”.
La pietra d’impasto romano incastonata nella muratura, alle spalle dell’artista
che lavora al banco di sempre, si è fatta nuvola, bolle di breccia leggera, tra
gli Oracoli azzurri, altre opere-nuvole. Fuori, nella corte, sull’asse scavato
nel rocchio d’una colonna, sboccia oggi un fiore, vicino agli alti steli
intagliati del Bosco, che, stretti nello spazio affondano le loro chiome
fantasmatiche nell’;unico azzurro di passaggio, quello delle nuvole, del cielo.
Al passaggio del millennio, arricchito dal valore della sua ricerca, sempre più
convinto del suo antigesto, delle possibilità della sua altra materia nell’Arte
e nel Mondo, l’artista, continua a rinnovare i gesti forti dei padri, traslando
nelle tavole il battere violento della storia. L’Antimateria scossa da dietro
(mentre l’agire cela il fronte) dal maglio di Ercoli si tende, resiste, cede,
esplode nel vuoto, si spezza. La Tavola lievita, si apre nello spazio interno,
separata a strati fissa il suo crollo a ventaglio. L’opera nera così
sollecitata ora è rafferma della sua totalità, sul fronte vive la vita dalla
sua profondità: mazza, morsetti, cunei, matita industriale, ascia, sgorbia, scalpelli,
segno-sega. Ortoprassi; giusta economia di mezzi, gesti primari . Daniele Van
De Velde scriverà di un’artista che ha deciso di non perdere nè di vista nè di
mano, la terra originaria che fissa e sola dà senso, simile nei suoi gesti tesi
a raggiungerla, al bambino che con uno sforzo immane si spinge con la fronte
verso la luce della nascita. Nel 2002 allestisce una situazione nella
casa-museo Periferie; esponendo sui campi aperti di stoppie “La Dea Delle
Lucciole”; moderna sintesi di tre culture arcaiche, con ceramica, acqua e luce.
Per lo stesso Museo, partecipa alla collettiva “Del Guardare e Del Vedere”(13
Dicembre, giorno di Santa Lucia), realizzando due vassoi neri prestampati,
chiusi specularmente, con le superfici opposte strappate a forma di occhi. Nel
2003, espone a Ferrara il “Bosco degli Estensi”, una scelta poetica fortemente
evocativa rapportata al luogo. Vicino, appese alle vele del Castello, le “Navi
dell’Aria”. Lo stesso anno espone alla Galleria dell’Arancio di Grottammare le
opere “La Grande Zolla” , “Bosco” e i “Fratti”. Nel 2004, con la serie
FrattiNeri;, espone Mesopotamia nell’ex Consorzio Agrario di Fermo
semidistrutto dai crolli. Poi la serie di situazioni in studio: “Il Tipografo”,
un moderno cilindro di carta avvolta con sopra una testa in ceramica dello
stampatore che guarda alla parete le prime “Impronte” rosse stampate senza
torchio; “Appesi alla Luna”: un altissimo vaso-figura fatto a colombini
ispirato dalla ceramica arcaica Picena soprapposto a un semiglobo in trucioli
di legno.
Per Natale 2006, espone “E’ Nata Una Foglia, nuda della sua culla”: un “nido”
d’acqua scavato dentro alla tavola capovolta come zolla e aperta di luce a
conchiglia.
Opere imprevedibili in fibra di legno rivoltata e flessa che fissano l’attimo
nel passaggio di massima tensione ed espressività poetica. Modello, il volto,
la figura del contadino fucilato nella tela del Goya, una presenza continua,
decisiva. Voci che ti parlano nel cammino d’artista. Voci interiori, che si
riconoscono salendo sulla magica montagna Sibilla o ricreando in studio un
alter ego in ceramica: “Argo Fermo”, che sembra uscito dall’acqua per volare
nel cielo destinato a viaggiare ruotando nel cosmo dell’arte guidato da una
Dea.
Nel 2007 espone a Bergamo “Luce nella Luce” con il pensiero rivolto alla luce
delle tarsie del Lotto in Santa Maria Maggiore. Nello stesso anno, invitato per
una collettiva dalla galleria Dieci.due! di Milano, espone nel palazzo Montica
di Pordenone l’opera “Caravella”: 22 cammelli in plastica stivati su una
zattera trasparente per un doppio viaggio di onde e di dune e “Sottto Sopra”
relativo all’Italia. Espone poi nel suo studio di via Padova, trasformato in
galleria (Ghost Gallery) i nuovi lavori milanesi, sempre in M.D.F. precolorato,
reperito nel cuore della Brianza. Nel 2008 espone all’Isola di Milano
“L’indecifrabilità dell’Oracolo”: 24 opere fratte nere e schegge “di guerra e
di piombo”, due visitatrici milanesi di fronte alle opere chiedono all’artista
se, le forme che vedono nei rilievi delle opere sono proiettili? Ercoli,
sorpreso risponde: “Si signore, ma come avete fatto a riconoscerli?”. Una delle
signore a sua volta: “Perchè a Milano durante la guerra li ho visti”. E’
Natale, dopo appena un mese, scatta l’eccidio israeliano dell’operazione a Gaza
denominata “Piombo Fuso”. Il 3 Giugno del 2009 a Milano, grazie alla Galleria
Blancheart, allestisce “L’Albero della Luce” nell’Oratorium Passioniss in
Sant’Ambrogio, dono fondante alla città in crisi culturale e una risposta al
padiglione Italia della Biennale veneta curato da Luca Beatrice che, in stile
leghista traspone in laguna un gruppo retorico di amici.
Nel 2010 occupa i 1000 metri quadri dell’Ex Consorzio Agrario di Servigliano
(FM), in 4 mesi lo risana, lo imbianca, lo illumina e lo allestisce della
mostra “Quattro4”. Sintesi ideale dove si fonde arte e terra: simboli, realtà,
poetica, suggeriti dalla pianta quadrata della città e dalle 4 campate della
struttura. Doppio epicentro di Terra dove l’opera affine affiora al mondo prima
che i musei ne riducano la piena funzione evocativa strappandola all’oblio dei
luoghi dove è nata.
Nel 2011 “PERLASO”, una mostra di 16 opere, estesa per
80 km dai Sibillini all’Adriatico, che seguendo l’acqua del fiume riflette
l’eterno. Una proposta autentica che mostra le opere nei luoghi e dei luoghi
dove sono nate e contro “ILLUMInazioni” del critico impotente Sgarbi che senza
sceglierle accatasta Tir di opere in laguna. Destino dello stesso anno, la
scelta dell’opera “Appesi alla Luna” per la Biennale di Venezia da parte del
“segnalatore sgarbiano” per le Marche, direttore dell’accademia di Urbino.
Ercoli, documentato, rifiuta di esporre perchè in disaccordo col la proposta
del direttore che comportava cambiare la parte semiglobo dell’opera scambiata dalla
sua incompetenza per base. Accetta invece la scelta per l’opera “FrattoNero”
“segnalata”da Walter Scotucci ed esposta alla Sala Nervi di Torino sempre per
la stessa Biennale di Venezia. Ma, dopo l’inaugurazione della Star Sgarbi
caratterizzata all’ingresso del padiglione da un retorico Pignatelli e un
clonato Boetti firmato Nespolo, l’artista presente decide di ritirare l’opera.
Nel 2012 MAZZETTA NERA, allestita nel mulino di S. Benedetto di Rapagnano lungo
la provinciale Faleriense da dove l’artista dona di notte agli automobilisti di
passaggio “banconote AAArcore serigrafate fresche di conio uscite in serie
dalle pulegge rotanti dello stesso mulino”.
2015 “L’ALBERO della LUCE” allestito a Fermo: due interventi su un luogo sacro
fondante per la città, ancora in presenza di acqua, albero e altare.
a) Rovescia il Cedro morto sul colle del Girfalco riflesso in grandi specchi
posti sul prato, tale, che il suo doppio fusto penetrando la terra con la sua
doppia potenza evochi l’asse del cosmo. Realizza così l’Albero Sacro che veste
a mosaico e luce viva riflessa dal sole su nastri tattili. Sonori e vibranti su
tutta la struttura al soffio del vento.
b) scava versi poetici sulla terra che evocano
l’albero rovesciato rinnovando il senso di non morte. I fruitori vivono l’opera
nell’emozione passando sospesi tra due cieli in bilico sopra una stretta
passerella.
2016 TRIENNALE di ROMA selezionato dalla commissione scientifica con l’opera
“Apparizione” per l’esposizione del 2017 al Vittoriano con la seguente
motivazione: “per la qualità dei suoi lavori e per il ricercato e profondo
linguaggio che connota tutta la sua opera”. 2018 Partecipa alla collettiva “Art
experience” organizzata dalla Galleria Wikiarte di Bologna.
VEDI LE OPERE DI GABRIELE ERCOLI
DELL'OPERA
L'arte di Ercoli nasce dal mito e dalla
poesia dei luoghi tra la magia dei sibillini e l'oltre del mare. Scopre un
nuovo medium che chiama antimateria poiché rimanda a ciò che non è. Una fibra industriale
molecolare, avversa e poetica, che tratta in superficie con gesti esclusivi
(con lode quelli raggiunti a Firenze nel '68) evoca, muta oltre il sonoro. La
sperimenta nella serie di “Saggi interpretando la sua terra vissuta
poeticamente col filtro delle avanguardie (opere: “Zolla di Altidona”,“Marina”, “Iride”). Poi stretto dalla post modernità,
dal kitsch, dall'invasione conformista dello spettacolo paradossalmente opposte
alla violenza immanente del reale, ricerca una possibilità al di fuori di esse.
Si immerge in un tempo dilatato (di cui una poesia dell'inizio proiettata al
futuro) ad ascoltare il silenzio magnetico dell'arte e dell'esistenza risalendo
il tempo delle origini: opere significanti “Annunciazione”,
dall'assorbenza luminosa del nero - “NeroLuce”
(omaggio a Matisse), un riferimento a conferma dell'annuncio - “Tabernacolo e Antro”, che traslano dal metafisico al mondo
e alla storia: opere “Triologia
della Storia”- “Apparizione”, l'antimateria aperta e separata si
rivela, l'arte appare all'artista -“Tavole dell'Arte”, principio di ogni opera. Tutte opere che rinnovano i
gesti e l'uso di mezzi tecnici degli antenati.
Nell'88, l'illuminazione davanti alle
opere di O. Licini a Monte Vidon Corrado: anche i mattoni di fornace del paese,
nella magia del tramonto apparivano d'oro (opere “Trasfigurazione” o “Astro”,
magmatiche, di chimiche antitetiche, che filtrate nel medium per cromie
rifioriscono in superficie).
Al passaggio dell'89 l'orrido del mondo
acceca l'artista (opere “L'orizzonte
di Marco”, “Rosso sette”, “FrattiNeri”
e “FrattiNaturali”, poesia [nel verde selvaggio...] ). Ercoli subisce una doppia perdita: la bellezza della terra del
nonno e la bellezza “greca”, della cultura contadina vissuta.
Tale pensiero e tale bellezza si
concentrano in modo distopico nella profondità dell'arte e nella profondità
della tavola che spezza a colpi di mazza fin dentro la fibra al battere della
storia: nasce un nuovo linguaggio, visionario, sustanziato di contemporaneo.
Intanto i lampi di guerra continuano a
bruciare l'Adriatico, lo sguardo dell'artista scendendo l'est fissa il
drammatico passaggio. Dalla terra del nonno reduce alla terra di tutti
stuprata: Mesopotamia (opera del 91: “Una parete di luna, una finestra di buio”),
Afghanistan, Palesytina, Siria, Egitto,
Libia, Algeria, (opera “ArgoFermo”,
“sull'orbita della luna” ).
L'Antigesto di Ercoli si abbatte
sull'opera ripetendo lo stesso gesto violento del mondo, l'antimateria oltrepassata
e scossa dal retro (opera dell' inizio “Dietrosimbolo”,
1992), mentre l'agire cela il fronte, si carica di energia, la sua fibra
molecolare flette, si strappa, esplode, sembra imitare l'attrito dei moti
tellurici del mondo che per opposizione slittano separati dai nuclei.
Un Principio Infinito. (”P&”, è anche il titolo di un disegno eseguito dall'artista negli anni '90 preludio a “Frattocosmo”). Dal nulla della tavola nuda, amorfa e compressa, ri-inizia lo scavo, un parto misterioso che porta alla luce ogni opera prima di precipitare nel suo nero “muto”. Ora, l'opera magnetica ci assorbe, vive sospesa del suo silenzio assordante generato da un antigesto che azzera il tempo, la sua bellezza di terra ci fissa d'eterno, congela nelle nere fratture e nei buchi quell'urlo ancestrale nell'attimo del suo farsi.
Gabriele